venerdì 15 giugno 2007

SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE!



Sembra partire da qui il tour di Francesco Piccolo ai monumenti più rappresentativi del divertimento dell’italiano medio: assistere dal vivo a Domenica In, sostare in Autogrill in pieno esodo, film di Natale il 26 dicembre, passeggiata a Mirabilandia e bagno di folla a Roma durante La notte bianca.
Sì, qualche volta nella vita si può cedere alla tentazione di fare quello che fanno tutti, ma con intatta la consapevolezza di sentirsi stupidi. Perché idealmente amiamo classificarci in almeno due categorie: gli intellettuali, angustiati da problemi teorici e teoretici, e i portatori sani di dabbenaggine culturale.
Due schieramenti che si incontrano sul terreno comune della derisione, due caste che condividono solo il disprezzo reciproco.
L’appartenenza a uno dei due ci conferisce un status esistenziale con inclusa una forma mentis e un modus vivendi predefiniti!
In pochi vincono questa presunzione di diversità e partono alla scoperta “dell’altro mondo”.
Francesco Piccolo è uno di loro.
E il risultato è “L’Italia spensierata”: un viaggio nel pianeta di chi vive senza farsi domande né darsi risposte, una visita ai luoghi comuni della mentalità italiana, ma soprattutto un resoconto in cui veniamo smascherati, costretti a riconoscere che anche noi, che ci spacciamo per intellettuali perché guardiamo Le Iene e Mai dire martedì, leggiamo Travaglio e Piccolo, seguiamo la MotoGp invece del calcio, veniamo coinvolti in dinamiche di cui non siamo completamente padroni.
Abitudini istituzionalizzate di cui ci sfugge la logica sottesa, pratiche divenute costitutive della nostra società, usi e costumi entrati nel nostro DNA sono qui sezionati col microtomo della razionalità, per cui nulla è più scontato: siamo coartati a chiederci perché…
A chi non è sembrato strano trovare le Barbie e i peluche in piena autostrada?
Perché la tv parla solo di se stessa e non del mondo reale?
Perché la notte bianca hanno tutti fame e sete di cultura? Si va a caccia di musei e mostre aperti anche di giorno? E la cultura attira solo se presentata come un “marziano a Roma”?
Perché a Mirabilandia paghiamo e aspettiamo anche trenta minuti per provarne tre di paura?
Perché i film di Natale sono sempre un successo annunciato? Sono demenzialità conclamata che sbanca al botteghino?
Succedono cose strane, a volte addirittura assurde, attorno a noi senza che ce ne accorgiamo.
Per chiunque sia dotato di un briciolo di autoironia questo libro è quasi formativo di una coscienza divertita della nostra ingenuità sociologica.
La distanza tra noi e gli spensierati si riduce: non è più misurabile in anni/luce!
Per questo il diario di bordo di Piccolo è lo “specchio delle nostre brame” di superiorità intellettuale, che ha smesso di compiacerci e ci riflette come siamo.
Di qui il presupposto teorico, quasi la legittimazione morale, del viaggio di Piccolo:

“Sono pronto a tutto in questa specie di tour nel mondo che non frequento di solito, anche perché sono abbastanza sicuro e un sacco di segnali me lo hanno confermato, che anche se non lo frequento io sono un po’ così, un po’ o tanto, a volte un po’ a volte tanto; (…) ho capito che c’è una correità in ogni cosa che accade in un paese, e di questa correità mi sono fatto carico attraverso un percorso di sincerità. (…) Non solo. Azzardo di più: sono anche sicuro che sono almeno un po’ così anche tutti gli altri che sono sicuri di non essere così”.

Ed inoltre Piccolo non ci sta ad usare la cultura come deterrente contro la stupidità.
E’ un uso improprio che tracima nell’abuso: essa serve ad andare incontro, non contro.
A costruire ponti, non muri.
L’intelligenza che, per affermarsi come tale, deve passare attraverso la derisione dell’ignoranza altrui è arroganza, cioè solo un succedaneo bieco della cultura.

“ma io preferisco stare dalla parte degli stupidi e degli ignoranti piuttosto che da quella di un certo tipo di persone intelligenti che ama farsi un sacco di risate alle spalle degli stupidi e degli ignoranti. (…) Così finiamo per essere noi quando siamo spettatori intelligenti. Ridiamo alle spalle di tutti quelli che sono più ignoranti di noi e così ci sentiamo più intelligenti. Il risultato è che sia gli spettatori stupidi sia gli spettatori intelligenti vedono gli stessi programmi – Il Grande Fratello, L’Isola dei Famosi, Domenica In – ma i primi li guardano direttamente e i secondi per coglierne le stupidaggini.”

Una “scelta ideologica”, questa, dimostrata dall’uso, nel capitolo “In carne ed ossa” a Domenica In, della prima persona PLURALE che comunica vicinanza, appartenenza e complicità col pubblico in studio bistrattato.
L’uso di simili strategie narrative è sempre funzionale alla resa espressiva dei contenuti.
Un altro esempio sono gli accorgimenti impiegati per rendere costante la tensione sarcastica che impregna il primo capitolo, quali il divario tra la vacuità delle situazioni descritte e il registro serio ed impegnato; l’uso reiterato di perifrasi, quasi formule fisse, come il binomio “aggressive e maliziose” per descrivere le belle ragazze che devono fingere di aver pensato le domande dell’Uno contro trenta o la tripletta “belli, simpatici e spigliati” per caratterizzare il pubblico parlante ma non pensante dell’Arena.
E’ un pleonasmo descrittivo che riduce i protagonisti della vicenda a stereotipi anonimi per ridicolizzarne il divismo velleitario.
La scelta del dialetto Romanesco per raccontare “Natale a Miami” ne sottolinea il localismo tematico e narrativo, che si esplica con accenni banali all’attualità fino a trovare il suo acme pubblicizzando spudoratamente la Tim. Con l’indugio a raccontare l’epilogo di tutte le girandole di doppi, tripli, quadrupli sensi a contenuto sessuale, che costituiscono la sceneggiatura, Piccolo vuole, inoltre, creare un’attesa sarcastica del nulla, del vuoto tematico del film.
Il viaggio di Piccolo finisce di notte…bianca, però.
E’ un epilogo rapido e breve, come la parabola di gradimento della notte bianca e soprattutto della cultura, che mobilita insieme tutto il popolo della notte e del giorno solo se presentata come un insieme di eventi spettacolari, sporadici e con coordinate spazio - temporali anomale: in ogni angolo di Roma - centro, di notte.

Cristina Battistoni

lunedì 11 giugno 2007

NEXT - Alessandro Baricco


Ciao a tutti!
Siamo sempre i Sì – global!
Oggi vogliamo darci arie da intellettuali: ecco la nostra recensione di “Next” di Alessandro Baricco.

QUESTIONE DI STILE!

Un libro semplice, scorrevole e abbastanza immediato, che si legge in poco tempo e che mantiene quasi sempre viva l’attenzione del lettore.
Fin dalle prime pagine, si capisce di avere a che fare con un testo “singolare” se si pensa a romanzi come Oceano Mare o Castelli di Rabbia: ci si trova davanti a un Baricco in una nuova veste, lontana dai toni poetici ed evocativi dei precedenti romanzi e ad uno stile molto più diretto e puntuale, senza immagini né figure retoriche: niente fantasia o immaginazione, solo logica e razionalità. (Federica)
Si usa un argomentare lucido e abbastanza rigoroso, fondato però su premesse false.
Chiunque legga Next capisce che Baricco nega l’esistenza della globalizzazione, anche se lui non lo afferma mai esplicitamente per evitare clamorose smentite.
E lo stesso atteggiamento ideologico lo ha verso i no – global, che definisce “specie da salvaguardare” per poi prenderne le distanze, dal momento che alcuni di loro sono oppositori, ma non sanno precisamente di cosa!
“Non chiedetevi se siete pro o contro: chiedetevi sono veri?Raccontano fatti reali?”Parola di Baricco!
Ma quello che racconta lui è vero? Dice di essersi documentato. Ma ha omesso qualsiasi accenno di bibliografia. Perchè? Quando di tre articoli ne fai un libro, non citare le fonti può costarti un’accusa di plagio! (Cristina)

LA DOMANDA SORGE SPONTANEA!

Baricco con questo piccolo trattato non vuole mettersi sul piedistallo e fare il “maestro”, dicendo agli altri ciò che è giusto o ciò che è sbagliato fare, dal momento che è lui il primo ad non essere particolarmente informato in merito al discorso che affronta.
In effetti sembra che pagina dopo pagina l’autore cerchi conferme e legittimazione dal lettore: non è casuale che proprio all’inizio dica di aver chiesto ad alcune persone il significato della parola “Globalizzazione”, e, a fronte di risposte solo negative, di aver accettato alcuni esempi.
Questo è secondo me un profondo e grave errore di prospettiva, perché si arriva a conclusioni errate o quantomeno troppo semplificate.
Si portano come esempio la Coca Cola ed Internet.
Partendo dalla considerazione che la Coca Cola è bevuta in tutto il mondo e che perfino i monaci tibetani abbiano un Pc con la connessione ad Internet, Baricco, dopo aver esaminato alcuni dati, deduce del tutto arbitrariamente che non è così e che quindi la globalizzazione è un fenomeno del tutto marginale: è vero che la Coca Cola è universalmente conosciuta, ma è anche vero che in America se ne consuma una lattina o più pro capite al giorno, mentre in India quattro in un anno; vero, invece, non è che i monaci tibetani abbiano un computer e ancor più assurdo che si possa anche solo lontanamente pensare che sappiano cosa significhi la parola Internet.
Morale della storia: basandosi su due esempi si arriva ad affermare in maniera abbastanza netta che la globalizzazione non è un fenomeno progressivo e inevitabile.
E la tesi è avvalorata da un ulteriore esempio, o meglio da un dato che fa emergere che l’uso del Pc per acquisti on line è molto basso.
Basta forse questo per dimostrare che le cose non stanno come crede la maggior parte del mondo?

Più volte e con una certa dose di ripetizioni si sottolinea che la Globalizzazione non è “un processo lento e inarrestabile”, ma solo un’invenzione dei potenti della terra, una loro strategia per aumentare i guadagni e a cui si oppongono, fortunatamente dice l’autore, i No – Global.*
Baricco ci offre di loro una sorta di ritratto impressionista, con tocchi rapidi e veloci, pennellate che dipingono questi ribelli, contestatori del sistema che mantengono vivo il senso critico della nazione, ma che a volte non sanno precisamente per cosa protestare, ai quali basta una scintilla per accendere un fuoco, forse perché va di moda essere “fuori dal coro” per dimostrare al mondo di essere liberi e di avere un cervello funzionante.
Non serve un motivo, quello che conta è far sapere che non ci si vuole conformare e piegare al duro e spietato gioco della legge del più forte. Ci si nasconde dietro a frasi fatte, a slogan, poi poco importa se non si conosca la reale entità del problema.
Ci si chiude aprioristicamente nelle proprie idee e non si accettano compromessi: la globalizzazione è male e non ci sono soluzioni da accettare.
Eppure le frange più moderate di questo movimento non sono contro la Globalizzazione, ma contro i guasti che essa produce:
non si potrebbe allora cercare di aprire la strada a una Globalizzazione Positiva, che venga dal basso e tenga conto dei bisogni di tutti?

In linea di principio sì, in pratica le cose non sono così immediate: Baricco afferma che, a ben guardare, l’omologazione o le tanto famose marche non sono demoni da abbattere.
Prima ancora del processo di demonizzazione bisognerebbe attuare una “rivoluzione” nella cultura e nelle nostre abitudini, in grado di far capire che molte cose possono essere cambiate partendo da noi. (Federica)
È giusto fare della grande marca il simbolo della globalizzazione sbagliata, quando ne acquistiamo i prodotti tutti i giorni?

DELLA SERIE “FATTI UNA DOMANDA E DATTI UNA RISPOSTA”!

Questa è la nostra recensione.
L’abbiamo strutturata in chiave problematica, cioè ponendo domande e lasciandole in attesa di risposta
Forse era anche questo l’obiettivo di Baricco: stuzzicare la nostra capacità di interpretare la realtà, provocare fino a costringerci a riflettere per dimostrargli che la globalizzazione c’è!
E noi ci abbiamo provato!!!
Ricapitolando: dall’affermazione che la piccola percentuale di popolazione mondiale che usa gli strumenti - simbolo del mondo globalizzato è ininfluente sul totale, Baricco passa poi all’ipotesi che la globalizzazione è un sogno che ci hanno indotto a sognare ed arriva infine ad insinuare che non esiste.
Un po’ estremo!
Le infrastrutture per un mondo globalizzato ci sono, si pensi solo ad internet.
E’ l’accesso ad esse a non essere globalizzato: problema che si inserisce in un contesto più ampio di sperequazione delle risorse, anche di prima necessità come l’acqua.
Io la vedo così: la globalizzazione c’è, ma non è di tutti e non è presente ovunque con le stesse modalità di coinvolgimento e diffusione.
Le scarpe Nike sono in tutto il mondo nel senso che il bambino cinese le cuce ed io me le metto!
Ed allora è pertinente l’obiezione che la globalizzazione è solo un nuovo pretesto ideologico per la colonizzazione dei PVS, che culminerà col trionfo dell’impero americano.
Che finora essa sia stata solo un flusso unidirezionale di prodotti dal Primo al Terzo Mondo e di soldi dal Terzo al Primo, ce lo dimostrano gli esempi che a tutti vengono in mente quando si parla di paese globale: Coca Cola, Nike e McDonald.
Ed è anche vero, come sottolinea Baricco, che per tutto questo c’erano già altri nomi: commercio estero, internazionalizzazione del sistema produttivo, colonialismo culturale, sfruttamento,…
Dunque è solo un problema lessicale?
“Globalizzazione” è un neologismo che ingloba (!) in sé dinamiche già esistenti da decenni?
Finora è stato così.
Ma la verità è che tutti abbiamo in testa un progetto più grande: ci crediamo davvero in un mondo in cui Nord e Sud tornino ad essere solo coordinate geografiche, prive di accezioni economiche.
Forse è vero che ci hanno offerto un miraggio.
Ma la nostra fantasia continua a produrlo, fino a trasformarlo in un’illusione dai contorni sempre meno evanescenti e dalla consistenza sempre più reale.
Secondo Baricco i potenti della terra vogliono che noi crediamo nell’esistenza o anche solo nella possibilità di un paese globale.
Vogliono che ci sentiamo abitanti di un unico paese di dimensioni planetarie, dove non esistono più stranieri né nemici e in cui quindi si possa solo vivere in pace.
Vogliono che la nostra prospettiva psicologica, il nostro orizzonte mentale sia…la pace mondiale! Credendola un humus più fertile per i loro commerci.
Questo fino a quando l’11 settembre gli ha aperto gli occhi: l’unione fa la forza, ma solo se c’è un nemico comune da combattere, anzi meglio, da cui difendersi.

“L’11 settembre ha ottenuto in pochi giorni quello che anni di paziente propaganda non avrebbero sperato di ottenere. Ci sono voluti decenni per farci sentire almeno un po’ europei. In pochi giorni eravamo già tutti americani.”

È più proficuo sfruttare il potere d’aggregazione della paura: non più “nessuno è tuo nemico”, bensì “chiunque può esserlo”.
Ma possiamo essere meno stupidi di come ci dipinge Baricco in questa sua tesi complottista, se acquisiamo consapevolezza e padronanza dei mezzi di cui ci vogliono solo utenti ignari.
Non crediamo alla balla che la guerra è il vettore più efficace per esportare coscienza democratica e diritti umani o che un dollaro per 12 ore di lavoro è sempre meglio di niente.
Possiamo “fare il West senza sterminare gli Indiani” e assecondare la “fiumana del progresso” senza che essa travolga “I Vinti”, perché ora abbiamo gli strumenti per uno sviluppo sostenibile, senza vittime, e non possiamo accettare che in alcune zone del mondo la storia sia ferma a trecento anni fa, nel senso che sfruttamento dei minori, condizioni inumane di lavoro e negazione delle libertà sindacali sono ancora l’unica alternativa alla morte per inedia.
Ha ragione Baricco quando dice che è inutile chiedersi se si è pro o contro la globalizzazione: ci siamo dentro!
Prima ce ne accorgiamo, prima iniziamo a dirottarla in una direzione davvero globale, solidale, a misura d’uomo…di ogni uomo!
Sappiamo bene che contestare senza proporre alternative è sciocco tanto quanto appendere la bandiera della pace al balcone e mangiare pasta Barilla o boicottare la Nestlè con le Nike ai piedi.
Oltre il boicottaggio e l’ostentazione c’è di più!
Iniziamo, per esempio, ad usare internet non solo per scaricare musica, ma anche per saperne di più su consumo critico, banche armate, sfruttamento del lavoro minorile, neocolonialismo, obiettivi del millennio,…
…e potremmo anche scoprire di non essere soli a pensarla così! (Cristina)


* Il movimento nasce nel 1999 per criticare l'economia neoliberista e la globalizzazione che con la sua connotazione fortemente imperialistica impoverisce ancora di più i paesi del Terzo Mondo.
Ha preso il via da alcuni libri di Naomi Klein, giornalista canadese, e della scrittrice indiana Vandana Shiva, che si batte per l'autonomia dei popoli indigeni e per il rispetto dell'ecologia minacciata dall'industrializzazione selvaggia.
Il movimento NO-GLOBAL è in generale pacifista, ambientalista e anti-proibizionista; gli strumenti che usa maggiormente sono: contro – informazione e boicottaggio.
I suoi obiettivi principali: diffondere uno stile di vita che rispetti l'ambiente ed impedire la progressiva perdita di controllo politico da parte dei cittadini sul mondo economico - finanziario. (Silvia)
Cristina Battistoni, Federica Biamonte, Silvia Giglio