giovedì 19 aprile 2007

Viaggiatore sulla coda del tempo

Qualcuno, tempo fa, mi fece notare che il 75% delle canzoni italiane parlano di lui che lascia lei (con variante lei lascia lui) e come dargli torto? Ci sono però casi in cui le parole vanno oltre e si districano in un labirinto di frasi introspettive ed autobiografiche, musica che Claudio Baglioni ha tentato (“Oltre” e “Io sono qui”) e, forte del grande successo, replicato con Viaggiatore sulla coda del tempo a chiudere il suo percorso di crescita umana e spirituale. Siamo nel 1999 ed il cantautore di montesacro, centocellino di adozione, si lancia in un viaggio dentro le paure e le incognite dell'anima, all'eterna ricerca di una risposta ad eterne domande, sullo sfondo di un mondo che cambia sotto i colpi delle innovazioni tecnologiche e delle attese dell’uomo verso il futuro.

Il tema del viaggio non è una cosa nuova, ma è sempre attuale: dalla notte dei tempi siamo stati, siamo e saremo viaggiatori sulla coda del tempo, perchè ogni esistenza è un percorso che inizia mani sbattendo ma che ci fa tornare a casa con un bagaglio, si spera il più pesante possibile. Non c’è un’età giusta per rinchiudersi nell’hangar aspettando l’imminente partenza, prima o poi ogni persona decide di prendere quel “treno per l’America senza fermate”, che nella sua assurdità rappresenta tutto ciò che mette in moto il cuore e ci fa andare dritto al punto, inseguendo, con la curiosità e le aspettative di un bambino, “la scia forse di un palloncino”. “Uno in mezzo a tanti e tanti in uno io” siamo una goccia nel mare, “anche io qui tra peccatori e santi, io non sono mica Dio”, ma un proverbio cinese recita che un solo chicco di riso può squilibrare la bilancia. Ognuno di noi può fare la differenza, così “ ho creato un sogno mio lì avanti”. Anche Baglioni, come tutti, ha avuto “quell’età in cui si pensa di poter cambiare il mondo” e io ci sono tutta dentro, così forte del fatto che “ogni dì (che passa) è un addio” e “che si muore tra un avvio e un rinvio”, ho spalancato le porte del mio hangar e mi sono messa su quella strada che percorre le anse dei miei dubbi e della mia sete di conoscenza “con quella eterna febbre in noi per ciò che non siamo mai stati andiamo per campare già delusi e stanchi. Viviamo come zebre e poi rinchiusi dentro gli steccati illusi di sembrare dei cavalli bianchi”, perfetti, e invincibili nella nostra ricchezza e superiorità, costruita su atti illeciti e riprovevoli, ma imburrata di una ipocrita patina di positività che ci porta ad essere inconsapevoli e destinati a sparire dall’universo. Il mondo ci schiaccia e ci manipola con incessanti stimoli che tentano di mandarci fuori rotta, ma una volta svelato l’inganno della maschera da purosangue, non resta che rimboccarsi le maniche: potremmo voltarci dall’altra parte, fingere di ignorarlo, ascoltarlo o meno, ma non possiamo ricacciarlo là da dove è venuto perchè la consapevolezza è la chiave di tutto. “Ciò che hai davanti è più di quello che hai avuto già”, è il futuro, la salvezza, la speranza, “anche se quello che hai avuto sempre davanti sta”, conseguenza delle azioni che abbiamo già compiuto, ma non tutto è perduto, qualcosa è possible e rassegnarsi è l’errore più grande. “Sì, io sarò un’onda anomala” dovrà essere il nostro motto: contagiare tutto con le nostre idée di decrescita e sperare di lasciare il segno nelle coscienze della collettività, come uno tsunami al contrario, che invece di distruzione e morte lascia dietro di sè aria di novità e basi da cui ripartire per un mondo più a forma di noi. “Le cose stan cambiando, mentre ci cambiano”, ma non è detto che progresso abbia un’accezione positiva, mi batterei piuttosto per la sua valenza neutra: progresso vuol dire solo andare avanti e non necessariamente implica un miglioramento, potrebbe benissimo peggiorare la situazione precedente o condirla con un mucchio di optional apparentemente indispensabili, ma in realtà superflui. “In questo ballo mascherato dove il costume è tutto” è difficile muoversi nudi immersi in cotanto lusso, ma alla domanda “chissà se queste macchine che parlano per noi ci avvicinano o ci allontanano” tutto dovrebbe apparirci lineare: quando la tecnologia, da garanzia di una vita dignitosa, ingaggia una squallida gara con sè stessa alla ricerca del profitto più alto, si trasforma in un cinico secondino: “quando sembra di sfiorarci invece restano dei ponti levatoi, che non si abbassano mai”. Questo senza contare le sue ripercussioni sul pianeta che, se possible, sono ancora più devastanti di quelle sulla comunità. Tecnologia e innovazioni di mercato fanno rima con inquinamento e spazzatura, incentivando la politica dell’usa e getta, e producendo rifiuti su rifiuti grazie ad imballaggi eccessivi e quasi mai cartacei.

Se “il tempo è come l’aria, che esiste proprio quando manca”, che cosa stiamo aspettando? Non possiamo ridurci all’ultimo momento. È da tanto che si vocifera che se non facciamo qualcosa per il pianeta tra qualche anno sarà troppo tardi, andrà a finire che scatterà l’anno X e sarà davvero troppo tardi. Tra questi pensieri ci siamo passati tutti, ma se gridando “Chi c’è oltre me, chi c’è in ascolto?” nessuno sembra rispondere, non gettare la spugna, chi c’è ti sentirà, d’altronde “se anche tu vedi la stessa luna non siamo poi così lontani”. Non posso sapere se “sarà una nuova età o solo un’altra età”, io però ci credo e intanto ci metto la firma.

Marzia Fatarella