giovedì 25 ottobre 2007

Benzina a metà prezzo




Io comincio a farlo oggi, girate la voce ...

Dal Blog di Beppe Grillo parte un'altra iniziativa...(quella precedente era

abolire il costo di ricarica delle schede telefoniche prepagate......con

ottima riuscita!!!!)

Provare non costa nulla!!!!!!!!!!!! Giratela ognuno ad almeno 10 contatti,

grazie mille!!!! ____________________________________________



COME AVERE LA BENZINA A META' PREZZO?

Anche se non hai la macchina, per favore fai circolare il messaggio agli

amici

Benzina a metà prezzo?

Diamoci da fare...

Siamo venuti a sapere di un'azione comune per esercitare il nostro potere

nei confronti delle compagnie petrolifere.

Si sente dire che la benzina aumenterà ancora fino a 1.50 Euro al litro.

UNITI possiamo far abbassare il prezzo muovendoci insieme, in modo

intelligente e solidale.

Ecco come....

La parola d'ordine è "colpire il portafoglio delle compagnie senza lederci

da soli".

Posta l'idea che non comprare la benzina in un determinato giorno ha fatto

ridere le compagnie (sanno benissimo che, per noi,si tratta solo di un pieno

differito, perché alla fine ne abbiamo bisogno!), c'è un sistema che invece

li farà ridere pochissimo,purché si agisca in tanti.

Petrolieri e l'OPEC ci hanno condizionati a credere che un prezzo che varia

da 0,95 e 1 Euro al litro sia un buon prezzo, ma noi possiamo far loro

scoprire che un prezzo ragionevole anche per loro è circa la metà.

I consumatori possono incidere moltissimo sulle politiche delle aziende:

bisogna usare il potere che abbiamo.

La proposta è che da qui alla fine dell'anno non si compri più benzina dalle

2 più grosse compagnie, SHELL ed ESSO, che peraltro ormai formano un'unica

compagnia.

Se non venderanno più benzina (o ne venderanno molta meno), saranno

obbligate a calare i prezzi.

Se queste due compagnie caleranno i prezzi, le altre dovranno per forza

adeguarsi.

Per farcela, però dobbiamo essere milioni di NON-clienti di Esso e Shell, in

tutto il mondo.

Questo messaggio proviene dalla Francia, è stato inviato ad una trentina di

persone; se ciascuna di queste aderisce e a sua volta lo trasmette a,

diciamo, una decina di amici, siamo a trecento.

Se questi fanno altrettanto, siamo a tremila, e così via..................

Di questo passo, quando questo messaggio sarà arrivato alla "settima

generazione", avremo raggiunto e informato 30 milioni di consumatori!

Inviate dunque questo messaggio a dieci persone chiedendo loro di fare

altrettanto.

Se tutti sono abbastanza veloci nell'agire, potremmo sensibilizzare circa

trecento milioni di persone in otto giorni! E' certo che, ad agire così, non

abbiamo niente da perdere, non vi pare?

Chi se ne frega per un po' di bollini e regali e baggianate che ci vincolano

a queste compagnie.

Coraggio, diamoci da fare!!!

domenica 14 ottobre 2007

MINISTRO, MINESTRONIS


Ci ho messo un po’, ma alla fine ho capito: chiunque può essere ministro! Questa è la vera democrazia, quando tutti possono fare tutto.
Ecco perché Mastella, giornalista laureato in Lettere e filosofia, privo di qualsiasi esperienza giuridica, è ministro della Giustizia. E un laureato col massimo dei voti fa il commesso a tempo determinato in un supermercato.
Ecco perché Livia Turco, “filosofa”, è ministro della salute e Fioroni, medico, si interessa di pubblica istruzione.
E poi c’è Rosy Bindi, la contraddizione esistenziale, un’antitesi totale tra ciò che è e ciò che fa, l’apoteosi dell’insensatezza: una zitella, ministro delle politiche per la famiglia.
Per finire con banali esempi di ordinaria incoerenza, come un Pecoraro Scanio che gira con tre macchinoni e aria condizionata a cannone per arrivare fresco e profumato alla conferenza sui cambiamenti climatici.
Basta, mi hanno convinta: sono stupida. Perché me ne strafrego dell’attentato all’orso bruno abruzzese e penso sia assurdo un Di Pietro alle infrastrutture invece che guardasigilli. Faccio ragionamenti troppo semplicistici: un ex – magistrato ministro della Giustizia?! Troppo ovvio e scontato. Meglio il clemente Clemente che concede subito l’indulto ai suoi elettori criminali.
Affidare il potere a chi ha le competenze e l’esperienza per sostenerne il peso e l’onestà per non abusarne è discriminatorio, la meritocrazia è antidemocratica: non è giusto che gli sfortunati raccomandati, meno dotati di volontà e spirito di abnegazione, vengano tagliati fuori. Siamo o no uno stato garantista?
La moderna legge del contrappasso dice che il parossismo democratico si ha quando uno o più ignoranti posti in posizioni di prestigio annullano ogni spinta centrifuga della politica: fingono di litigare, di scontrarsi su posizioni contrapposte, ma alla più timida minaccia ai loro interessi privati si serrano in un’unica falange patetica.
E il bene comune rimane sempre l’asintoto che la curva della politica, qualunque sia la sua direzione, non deve mai intersecare.

Ma la colpa è nostra che oggi senza lamentarci pagheremo 1 euro per esercitare il nostro diritto di voto, noi bamboccioni che abbiamo la classe politica che ci meritiamo.
Mi scuseranno Padoa Schiappa e il prode Prodi se li cito senza virgolettarli.

giovedì 4 ottobre 2007

IL RAGAZZO PROMETTE BENE!

Giustizia...
Procede il tempo, attendi il tuo verdetto.
Tormento.
Incalzano le cagne
materne spinte da furore immane.
Oreste, fuggi! a volte la Giustizia
si perde nel suo manto,
divina,
invano illusa di poter esistere.
Simone Conti
Questi sono 8 versi usciti dalla penna di un mio giovanissimo amico, che si è classificato PRIMO alla XIV edizione del Concorso Nazionale Eschileo di Agrigento, sbaragliando altri settanta piccoli grandi poeti di tutta Italia.
Sulle mani il sangue materno, sulle spalle le colpe degli avi, sul collo il fiato delle Erinni: così Oreste aspetta la sentenza. E dubita. Vacilla.
La poesia è la descrizione di un attimo lungo un’eternità, un’immagine sobria e vibrante di questa dilatazione del tempo interiore del protagonista. Una fantasia pertinente ed intensa. Un’immagine nitida di un momento psicologico confuso.
Un’interpretazione, questa di Simone, sintomatica di un’acuta sensibilità poetica: ragazzo mio, sei in sintonia con uno dei massimi poeti dell’umanità!
La poesia si sviluppa per contrasti: il tempo scorre e Oreste aspetta immobile. Dall’opposizione semantica nasce il tormento del dubbio. Anch’esso dicotomico, attendere o fuggire, subire o agire, fermarsi o muoversi, e scandito dall’allitterazione della “t”, che è onomatopeica del martellare del dilemma nella coscienza del protagonista.
Poi il ricordo vivo della feroce persecuzione lo assale, lacerante quanto i morsi delle Erinni, simulati dall’assonanza dei suoni “a” ed “e” che dilaniano la carne e l’anima. È il rimorso. E subito l’opposizione si rovescia: Oreste può agire, muoversi, scappare. Mentre la vendetta non lo incalza più, perchè rischia di perdersi nella sua complicata metamorfosi in Giustizia.
Questa inversione è rappresentata anche dalla scelta metrica di alternare la lunghezza dei versi secondo una logica speculare (11, 3, 7, 11; 11, 7, 3, 11).
Anche l’andamento ritmico è funzionale alla resa espressiva del contrasto tra azione e impotenza: un’alternanza di accelerazione e decelerazione, un’onda di condensazione e rarefazione che si propaga attraverso i verbi. Lo scorrere sempre uguale e inarrestabile del tempo imprime una velocità media all’incipit. L’accelerazione ritmica si ha col verbo della corsa furiosa delle Erinni e prosegue oltre i limiti del terzo verso grazie all’enjambement. Il picco si raggiunge nel “fuggi!”, il cui punto esclamativo segna una cesura forte, una frenata che determina la decelerazione, implicita nel verbo “si perde” e palese nell’ultimo verso, dove la rarefazione dell’intensità dinamica è massima e sudordinata alla necessità semantica di scandire, sillabare le parole conclusive per affidargli il senso di tutto il componimento.

Oreste resta. E dall’inazione umana, che lascia campo libero all’azione divina, nasce la Giustizia: il voto di Atena legittima l’assoluzione di Oreste. Crea un precedente inappellabile e autorizza il neonato tribunale dell’Areopago, da lei istituito, a privare di valore giuridico la vendetta.
Una commutazione di pena che segna la nascita del diritto moderno. Oreste è l’umanità in un momento intenso di transizione.
Ma tutto questo è successivo all’attimo descritto nella poesia.

venerdì 28 settembre 2007

"GOMORRA": LA LETTERATURA RIPARTE DA QUI


Gomorra rifonda il ruolo della parola letteraria quale veicolo indipendente di verità e grida che un’altra informazione è possibile. Dimostra che una parola non più mercenaria del potere o schiava del sensazionalismo di basso profilo esiste.
La parola in sé non usa lusinghe subliminali per costruire il consenso. Passa piuttosto per la coscienza critica del lettore, necessita della mediazione della riflessione personale.
La parola di Saviano in particolare ha un reale potere di interazione con il lettore, è un appello alla voglia di verità che è in ognuno. È musa ispiratrice di pensieri di sdegno e desideri di giustizia.
Non si riappropria solo della sua portata comunicativa. Non è più solo segno grafico di concetti, simbolo sintetico di idee. O racconto di un fatto. Va oltre i fatti.
Conquista una dimensione concreta, uno sfogo tangibile. Un’efficacia conativa che si fa esecutiva nel momento in cui crea un esercito di lettori in marcia verso la verità, plasma una forza sociale pronta a cambiare le cose. Per questo il suo successo di pubblico è pericoloso. Per la camorra.
Un libro icastico, con la stessa forza di impatto di un’immagine, col potere , però, non di smuovere ma di muovere. Mobilitare.
Una parola, quella di Saviano, capace ci cambiare le persone prima delle cose.
Perché dopo Gomorra al grido “la camorra non esiste” ci incazziamo tutti.
Perché dopo Gomorra la frase “la camorra è un problema del sud” è drasticamente svuotata di verità, suona più insulsa di prima.
Perché dopo Gomorra non sarà più possibile usare l’astratto per il concreto, il singolare per il plurale, il generale per il particolare, criminalità organizzata per imprenditori assassini e faida per ragazzi massacrati. Non sarà più lecito semplificare in una parola la comunicazione e la realtà.
Perché dopo Gomorra la cortina di disinteresse è spezzata: sapere è alla portata di tutti, l’accesso alla verità è liberalizzato. E in tutti Saviano ha instillato la sana frenesia della consapevolezza.
Perché dopo Gomorra, la camorra è un affare internazionale che riguarda anche noi che da Roma in su ne abbiamo una conoscenza solo teorica, fatta di luoghi comuni, noi che non ci immaginiamo nemmeno quanto sia reale e presente sul territorio e nella vita della gente comune.
Perché dopo Gomorra, se nulla cambierà, sarà un atto d’accusa contro la politica e lo Stato, un colpevole disinteresse, una dichiarazione di debolezza, un silenzio – assenso, un tacito placet o addirittura una confessione muta di connivenza e collusione.
Gomorra apre una nuova prospettiva nella letteratura italiana contemporanea, svalutata da un’inflazione di scrittori improvvisati, troppo spesso relegata a diversivo, evasione, ricettacolo di angustie psicologiche, depositaria di tormenti amorosi.
Ora è anche spazio franco della verità. Strumento di denuncia sociale e politica.
Scrivere è di nuovo forma concreta di impegno civile, un’attività umana utile al bene comune.
Saviano, novello Verga col valore aggiunto della rabbia, col coraggio di raccontare la verità filtrata dai suoi occhi. Finalmente un’abilità consapevole del potenziale rivoluzionario di un messaggio ben congegnato. Una mente sincera ed onesta che dà fondamento di verità alle parole scavando nelle viscere del reale, che non si accontenta di galleggiare tra gli scarti delle notizie sul mare inquinato della disinformazione. Perché la superficialità è censura preventiva della verità. L’incompetenza, deterrente gratuito offerto a chi vuole occultare. La disattenzione, concime di notizie contraffatte innestate sull’incapacità di indagare e comprendere.


Scusate i toni esagerati. Ma oggi sono infastidita, irritata, arrabbiata e voglio essere eccessiva come sono veramente. Basta inibizioni. Oggi non mi va di essere misurata e controllata. Oggi mi va di essere me.
Voglio piangere, gridare fino a farmi sanguinare la gola, fino a farmi diventare la voce roca. Ma non posso. Ho un nodo alla gola. Allora ho scritto. Come sempre. Ma stavolta sul blog. E non di me, perchè questo è proprio complicato. Non lo so neanche io perché oggi mi sento oppressa. Me la cavo dando la colpa al tempo e alla mia natura meteoropatica. Ho finito di leggere Gomorra e allora ne ho scritto. senza pretese. Solo per far uscire qualcosa da me. Fine.

martedì 17 luglio 2007

L'ACQUA: UN LUSSO DA 33 CENTESIMI A BOTTIGLIA

Ciao a tutti!
Perdonate la prolungata assenza, ma torniamo con una notizia clamorosa…
Stamattina accendo il Pc per controllare email e news e ne trovo una davvero sconvolgente.
Leggete qua…

MIRACOLO ad Agrigento, la città senz'acqua. L'acqua invece c'è. Ed è, manco a dirlo, buonissima. Le vene del sottosuolo, pochi chilometri dal centro abitato, sono gonfie: "Caratteristiche perfette, una oligominerale adatta al consumo di tutta la famiglia. Acqua gustosa, dissetante, gradevole, con un equilibrato contenuto di sali minerali", è stato comunicato, documentato e infine certificato. La Regione Siciliana ha concesso alla Nestlè, la multinazionale che controlla il gruppo San Pellegrino, che a sua volta ha appena acquistato il marchio della Platani Rossini srl, il permesso di raggiungere nell'arco di un quinquennio la produzione di 250 milioni di litri. Acqua per tutti, dunque.
A pagamento, ma finalmente un'acqua tutta siciliana, veramente. "Vera Santa Rosalia" la nuova etichetta. Trentatrè centesimi a bottiglia, e Santa Rosalia entrerà nelle case di Agrigento.


La notizia dell'ampliamento della concessione alla Nestlè ha comunque reso frenetica e turbolenta l'attività del sindaco di Santo Stefano Quisquinna, distante quaranta chilometri dal capoluogo, il cui territorio custodisce il tesoro. Proteste, blocchi, interrogazioni parlamentari. Non era in discussione la scelta di affidare alla Nestlè, invece che ad Agrigento, l'acqua che c'è, quanto il timore che la multinazionale con le sue macchine scavi troppo e troppo in profondità e prosciughi presto le vene sorgive. Con un'interrogazione Angelo Lomaglio, deputato di Sinistra democratica, ha appena denunciato al ministro dell'Ambiente che è dimostrata "la pericolosità dei prelevamenti acquiferi perché costituirebbe un'ulteriore diminuzione della riserva, già notevolmente danneggiata, ed arrecherebbe non pochi problemi alla popolazione locale che non sarebbe più in grado di approvvigionarsi e sarebbe costretta ad acquistare l'acqua". Dunque e ricapitolando: ad Agrigento l'acqua non c'è, ma a pochi chilometri di distanza sì. Che l'acqua ci fosse era cosa nota da decenni (la Montedison fece i primi rilevamenti), ma a nessuno è parso opportuno approfondire. Ha approfondito invece, e bene, la Nestlè che infatti ha chiesto lo sfruttamento di questo bene introvabile laggiù. Ha approfondito così bene che i pochi comuni che si dissetano autonomamente nell'area del tesoro, rischieranno di finire anch'essi assetati. Per fortuna soccorre la politica commerciale della multinazionale: nell'isola, a differenza del resto d'Italia, il prezzo sarà calmierato. Solo trentatrè centesimi la bottiglia. Un affare.
(14 luglio 2007)
Dalla rubrica “Piccola Italia” di Antonello Caporale

Insomma chi vuole l’acqua deve pagare.
Indispettita ho fatto una ricerca e ho reperito queste informazioni:

Mentre in Italia è partita la raccolta di firme contro la privatizzazione della gestione dell’acqua, nell’agrigentino è in corso un duro scontro politico che potrebbe bloccarne la gara. Gara per modo di dire, visto che vi partecipa un solo concorrente: un’associazione temporanea d’imprese private a cui è stata associata, strumentalmente, la “Voltano spa”, un ex ente consortile.Il condizionale è d’obbligo, tuttavia un fatto è già avvenuto nell’assemblea dell’Ato idrico dove la maggioranza dei sindaci ha votato contro la privatizzazione. Il voto dei sindaci raccoglie l’inquietudine inespressa e il disagio dei cittadini che mal sopportano la speculazione privata su un bene primario che porterà ad aumenti notevoli della tariffa e quindi colpirà i già grami bilanci delle famiglie.
Ma andiamo allo specifico dei fatti avvenuti: la maggioranza dell’assemblea dell’Ato idrico ha bocciato la proposta di affidamento ai privati, per trent’anni, della gestione delle risorse idriche dell’agrigentino.Nonostante un voto così chiaro, il risultato non può considerarsi acquisito, poiché la maggioranza ha raggiunto soltanto il 61% del quorum richiesto (66%).
Si è registrata una confluenza quasi trasversale che ha preso atto dell’incompatibilità esistente fra alcuni sindaci (bipartisan) che si trovavano nell’imbarazzante condizione di membri del consiglio di amministrazione della Voltano spa e al contempo dell’assemblea dell’Ato idrico che deve deliberare sull’affidamento della gestione all’unica associazione d’imprese di cui è parte la Voltano spa. Una situazione talmente insostenibile che lo stesso presidente dell’assemblea dell’Ato e della Provincia, il forzista Fontana, si è dovuto schierare per il no. Tutto sembrava filare per il giusto verso. C’erano i numeri per chiudere bene la vicenda, ma al momento del voto il colpo di scena: due sindaci di centro-destra (di Licata e Cammarata) sono spariti improvvisamente dall’aula, impedendo così di raggiungere la fatidica soglia del 66%. Evidentemente, i due non sono usciti a fare pipì. La loro assenza, infatti, è stata provvidenziale per rimettere in campo il ruolo sostitutivo del commissario ad acta inviato dal dott. Felice Crosta, presidente dell’Agenzia regionale per l’acqua e per lo smaltimento dei rifiuti, più noto per il suo favoloso stipendio di circa 1500 euro… al giorno. Lordi, però.A questo punto, nel fronte del no si teme che, ritenendo incongruo quel 61%, il commissario potrebbe approvare l’affidamento ai privati che la maggioranza dei sindaci ha bocciato.Una decisione che suonerebbe come una sfida e che assesterebbe un colpo durissimo contro queste popolazioni che l’Istat certifica vivono al di sotto della soglia di povertà, quando non nell’indigenza. Vedremo se le forze contrarie alla privatizzazione sapranno impedire l’arrogante pretesa del governo di procedere nonostante tutto.

Da Sicily News - Agostino Spataro
News inserita il 18/01/2007 da
Redazione Siciliano.it

E a proposito della raccolta firme contro la privatizzazione dell’acqua, sul sito del Forum italiano dei movimenti per l’acqua ecco cosa ho trovato:

La rifondazione democratica riparte dall'acqua pubblica
23 giugno 2007
Il cammino istituzionale della proposta sarà accompagnato da numerose iniziative. Il lavoro dei movimenti non finisce qui.
l movimento per l'acqua come bene pubblico lavorerà in tre direzioni: una grande manifestazione a ottobre per tenere alta l'attenzione sul principio che l'acqua è un bene comune, la pressione a governo e Parlamento perché anche al Senato sia approvata la moratoria dei processi di privatizzazione della gestione dell'acqua come è già avvenuto a Montecitorio e infine l'iniziativa di alcuni parlamentari di «inserire alcuni principi della proposta di legge popolare - spiega Walter Mancini - nel processo di modifica del decreto ambientale».

Una straordinaria esperienza di autoeducazione popolare che, a partire dal gennaio scorso, ha promosso iniziative, mobilitazioni, dibattiti e raccolta firme in ogni angolo del Paese, per chiedere che l'acqua sia finalmente considerata bene comune e diritto umano universale e che la sua gestione sia sottratta alle logiche del mercato e della concorrenza per restituirla alla gestione pubblica e partecipata dalle comunità locali. Una battaglia di civiltà, capace di mettere insieme i conflitti territoriali con una grande vertenza nazionale. Come concretamente testimonieranno le quattro carovane che da domenica 24 giugno partiranno dalla Valdaosta, dal Friuli, dalla Puglia e dalla Sicilia per convergere il primo luglio in un grande appuntamento nazionale di festa a Roma.
Una prima parziale vittoria è già stata ottenuta con l'approvazione alla Camera del provvedimento che istituisce, fino all'approvazione di una nuova legge di riordino della gestione del servizio idrico integrato, una moratoria sui processi di affidamento del servizio a soggetti privati e a società miste pubblico-privato, compresi quelli attualmente in corso.
Una battaglia di civiltà, di cui la moratoria costituisce una prima tappa e il cui approdo finale dovrà essere l'approvazione della legge d'iniziativa popolare che propugna l'uscita di tutte le SpA, a qualsiasi titolo, dalla gestione del servizio idrico; la costruzione di aziende speciali consortili per la gestione pubblica dello stesso; l'istituzione di forme di partecipazione dei lavoratori e dei cittadini alle scelte fondamentali di tutti gli atti di gestione.Marco Bersani (Presidente di Attac) - Fonte: Il Manifesto (
http://www.ilmanifesto.it/)

Dove scorre la democrazia
10 luglio 2007
La raccolta delle firme per la legge di iniziativa popolare per il diritto all'acqua, contro la sua privatizzazione, avrà oggi una tappa importante, con la presentazione al Parlamento delle firme raccolte. E' un momento simbolico molto chiaro. La popolazione afferma di avere fatto la propria parte; ora tocca ai suoi rappresentanti che devono procedere, seguendo le indicazioni ricevute ed emerse nel corso di alcuni mesi di campagna, lungo tutto il paese.
Guglielmo Ragozzino - Fonte: Il Manifesto (
http://www.ilmanifesto.it/)

Arrivate a Roma le 4 carovane
Arrivano 400 mila firme in quaranta scatoloni. Sono voti sull'acqua, l'acqua da salvare, l'acqua di tutti. A riceverle, Bertinotti. A lui il compito di dare il via alla legge
10 luglio 2007
Ieri c'è stata la grande conta delle firme: compagne e compagni dei comitati per l'acqua hanno rovesciato i contenitori delle schede raccolte nel corso di mesi e hanno passato la giornata a contare. A sera avevano in vista le quattrocentomila firme raccolte e che riempiranno quaranta scatoloni. Trentanove prenderanno la strada dei sotterranei ben protetti della Camera dei deputati, mentre uno soltanto verrà portato al presidente Fausto Bertinotti, invitandolo a farsene carico, a trovare una corsia per la legge dell'acqua, una legge d'iniziativa popolare.
Guglielmo Ragozzino - Fonte: Il Manifesto (
http://www.ilmanifesto.it/)

11 luglio 2007
Lo scorso 13 giugno la Camera ha approvato la moratoria degli affidamenti dei servizi idrici, che raccoglie alcune indicazioni della proposta dei forum. Marco Bersani, uno dei leader del movimento, spera che «anche il Senato approvi la moratoria, per evitare l'accelerazione delle privatizzazioni nelle regioni».
«I risultati delle privatizzazioni, sinora - continua Oddi - sono molto negativi: ci sono aumenti tariffari, investimenti insufficienti e l'incoraggiamento ad aumentare i consumi per fare tornare i conti».
Lorenzo Tondo - Fonte: Liberazione (
http://www.liberazione.it/)

Qualcuno penserà che ho scoperto l’acqua calda!
Forse sono distratta e disinformata, ma non ho mai visto in prima pagina nessuna di queste notizie.
E poi, un domanda: come si concilia questa concessione alla Nestlè con le 400 mila firme contro la privatizzazione dell’acqua consegnate a Fausto Bertinotti il 10 luglio scorso dopo una campagna di raccolta condotta su tutto il territorio nazionale?
Ed ancora, la moratoria che avrebbe dovuto rallentare l’onda di privatizzazioni è stata approvata anche dal Senato oppure no?
A giudicare dagli ultimi fatti direi di no, ma perché?
La classe politica non dovrebbe tutelare con una certa sollecitudine gli interessi di tutto il popolo?
Forse sono retorica e ritorno su temi banali e triti, ma perché ciò che è ovvio per tutti gli esseri razionali, nella prassi politica non lo è?
Aspetto informazioni e risposte da chiunque ne sappia di più!
Grazie!
A presto!!!

P.S.: non so se sapevate che l’acqua Lilia è della Coca Cola…

Rionero in Vulture. Qui vi era una sorgente d'acqua in concessione alla famiglia Traficante da cinque generazioni, come spiega, nel sito della società, la titolare, che si dice felice di aver potuto cedere la concessione a una grande società: Cocacola. Oggi le stazioni e i muri sono ricoperti della pubblicità dell'acqua in questione, Lilia.
Guglielmo Ragozzino - Fonte: Il Manifesto (
http://www.ilmanifesto.it/)

venerdì 15 giugno 2007

SEMEL IN ANNO LICET INSANIRE!



Sembra partire da qui il tour di Francesco Piccolo ai monumenti più rappresentativi del divertimento dell’italiano medio: assistere dal vivo a Domenica In, sostare in Autogrill in pieno esodo, film di Natale il 26 dicembre, passeggiata a Mirabilandia e bagno di folla a Roma durante La notte bianca.
Sì, qualche volta nella vita si può cedere alla tentazione di fare quello che fanno tutti, ma con intatta la consapevolezza di sentirsi stupidi. Perché idealmente amiamo classificarci in almeno due categorie: gli intellettuali, angustiati da problemi teorici e teoretici, e i portatori sani di dabbenaggine culturale.
Due schieramenti che si incontrano sul terreno comune della derisione, due caste che condividono solo il disprezzo reciproco.
L’appartenenza a uno dei due ci conferisce un status esistenziale con inclusa una forma mentis e un modus vivendi predefiniti!
In pochi vincono questa presunzione di diversità e partono alla scoperta “dell’altro mondo”.
Francesco Piccolo è uno di loro.
E il risultato è “L’Italia spensierata”: un viaggio nel pianeta di chi vive senza farsi domande né darsi risposte, una visita ai luoghi comuni della mentalità italiana, ma soprattutto un resoconto in cui veniamo smascherati, costretti a riconoscere che anche noi, che ci spacciamo per intellettuali perché guardiamo Le Iene e Mai dire martedì, leggiamo Travaglio e Piccolo, seguiamo la MotoGp invece del calcio, veniamo coinvolti in dinamiche di cui non siamo completamente padroni.
Abitudini istituzionalizzate di cui ci sfugge la logica sottesa, pratiche divenute costitutive della nostra società, usi e costumi entrati nel nostro DNA sono qui sezionati col microtomo della razionalità, per cui nulla è più scontato: siamo coartati a chiederci perché…
A chi non è sembrato strano trovare le Barbie e i peluche in piena autostrada?
Perché la tv parla solo di se stessa e non del mondo reale?
Perché la notte bianca hanno tutti fame e sete di cultura? Si va a caccia di musei e mostre aperti anche di giorno? E la cultura attira solo se presentata come un “marziano a Roma”?
Perché a Mirabilandia paghiamo e aspettiamo anche trenta minuti per provarne tre di paura?
Perché i film di Natale sono sempre un successo annunciato? Sono demenzialità conclamata che sbanca al botteghino?
Succedono cose strane, a volte addirittura assurde, attorno a noi senza che ce ne accorgiamo.
Per chiunque sia dotato di un briciolo di autoironia questo libro è quasi formativo di una coscienza divertita della nostra ingenuità sociologica.
La distanza tra noi e gli spensierati si riduce: non è più misurabile in anni/luce!
Per questo il diario di bordo di Piccolo è lo “specchio delle nostre brame” di superiorità intellettuale, che ha smesso di compiacerci e ci riflette come siamo.
Di qui il presupposto teorico, quasi la legittimazione morale, del viaggio di Piccolo:

“Sono pronto a tutto in questa specie di tour nel mondo che non frequento di solito, anche perché sono abbastanza sicuro e un sacco di segnali me lo hanno confermato, che anche se non lo frequento io sono un po’ così, un po’ o tanto, a volte un po’ a volte tanto; (…) ho capito che c’è una correità in ogni cosa che accade in un paese, e di questa correità mi sono fatto carico attraverso un percorso di sincerità. (…) Non solo. Azzardo di più: sono anche sicuro che sono almeno un po’ così anche tutti gli altri che sono sicuri di non essere così”.

Ed inoltre Piccolo non ci sta ad usare la cultura come deterrente contro la stupidità.
E’ un uso improprio che tracima nell’abuso: essa serve ad andare incontro, non contro.
A costruire ponti, non muri.
L’intelligenza che, per affermarsi come tale, deve passare attraverso la derisione dell’ignoranza altrui è arroganza, cioè solo un succedaneo bieco della cultura.

“ma io preferisco stare dalla parte degli stupidi e degli ignoranti piuttosto che da quella di un certo tipo di persone intelligenti che ama farsi un sacco di risate alle spalle degli stupidi e degli ignoranti. (…) Così finiamo per essere noi quando siamo spettatori intelligenti. Ridiamo alle spalle di tutti quelli che sono più ignoranti di noi e così ci sentiamo più intelligenti. Il risultato è che sia gli spettatori stupidi sia gli spettatori intelligenti vedono gli stessi programmi – Il Grande Fratello, L’Isola dei Famosi, Domenica In – ma i primi li guardano direttamente e i secondi per coglierne le stupidaggini.”

Una “scelta ideologica”, questa, dimostrata dall’uso, nel capitolo “In carne ed ossa” a Domenica In, della prima persona PLURALE che comunica vicinanza, appartenenza e complicità col pubblico in studio bistrattato.
L’uso di simili strategie narrative è sempre funzionale alla resa espressiva dei contenuti.
Un altro esempio sono gli accorgimenti impiegati per rendere costante la tensione sarcastica che impregna il primo capitolo, quali il divario tra la vacuità delle situazioni descritte e il registro serio ed impegnato; l’uso reiterato di perifrasi, quasi formule fisse, come il binomio “aggressive e maliziose” per descrivere le belle ragazze che devono fingere di aver pensato le domande dell’Uno contro trenta o la tripletta “belli, simpatici e spigliati” per caratterizzare il pubblico parlante ma non pensante dell’Arena.
E’ un pleonasmo descrittivo che riduce i protagonisti della vicenda a stereotipi anonimi per ridicolizzarne il divismo velleitario.
La scelta del dialetto Romanesco per raccontare “Natale a Miami” ne sottolinea il localismo tematico e narrativo, che si esplica con accenni banali all’attualità fino a trovare il suo acme pubblicizzando spudoratamente la Tim. Con l’indugio a raccontare l’epilogo di tutte le girandole di doppi, tripli, quadrupli sensi a contenuto sessuale, che costituiscono la sceneggiatura, Piccolo vuole, inoltre, creare un’attesa sarcastica del nulla, del vuoto tematico del film.
Il viaggio di Piccolo finisce di notte…bianca, però.
E’ un epilogo rapido e breve, come la parabola di gradimento della notte bianca e soprattutto della cultura, che mobilita insieme tutto il popolo della notte e del giorno solo se presentata come un insieme di eventi spettacolari, sporadici e con coordinate spazio - temporali anomale: in ogni angolo di Roma - centro, di notte.

Cristina Battistoni

lunedì 11 giugno 2007

NEXT - Alessandro Baricco


Ciao a tutti!
Siamo sempre i Sì – global!
Oggi vogliamo darci arie da intellettuali: ecco la nostra recensione di “Next” di Alessandro Baricco.

QUESTIONE DI STILE!

Un libro semplice, scorrevole e abbastanza immediato, che si legge in poco tempo e che mantiene quasi sempre viva l’attenzione del lettore.
Fin dalle prime pagine, si capisce di avere a che fare con un testo “singolare” se si pensa a romanzi come Oceano Mare o Castelli di Rabbia: ci si trova davanti a un Baricco in una nuova veste, lontana dai toni poetici ed evocativi dei precedenti romanzi e ad uno stile molto più diretto e puntuale, senza immagini né figure retoriche: niente fantasia o immaginazione, solo logica e razionalità. (Federica)
Si usa un argomentare lucido e abbastanza rigoroso, fondato però su premesse false.
Chiunque legga Next capisce che Baricco nega l’esistenza della globalizzazione, anche se lui non lo afferma mai esplicitamente per evitare clamorose smentite.
E lo stesso atteggiamento ideologico lo ha verso i no – global, che definisce “specie da salvaguardare” per poi prenderne le distanze, dal momento che alcuni di loro sono oppositori, ma non sanno precisamente di cosa!
“Non chiedetevi se siete pro o contro: chiedetevi sono veri?Raccontano fatti reali?”Parola di Baricco!
Ma quello che racconta lui è vero? Dice di essersi documentato. Ma ha omesso qualsiasi accenno di bibliografia. Perchè? Quando di tre articoli ne fai un libro, non citare le fonti può costarti un’accusa di plagio! (Cristina)

LA DOMANDA SORGE SPONTANEA!

Baricco con questo piccolo trattato non vuole mettersi sul piedistallo e fare il “maestro”, dicendo agli altri ciò che è giusto o ciò che è sbagliato fare, dal momento che è lui il primo ad non essere particolarmente informato in merito al discorso che affronta.
In effetti sembra che pagina dopo pagina l’autore cerchi conferme e legittimazione dal lettore: non è casuale che proprio all’inizio dica di aver chiesto ad alcune persone il significato della parola “Globalizzazione”, e, a fronte di risposte solo negative, di aver accettato alcuni esempi.
Questo è secondo me un profondo e grave errore di prospettiva, perché si arriva a conclusioni errate o quantomeno troppo semplificate.
Si portano come esempio la Coca Cola ed Internet.
Partendo dalla considerazione che la Coca Cola è bevuta in tutto il mondo e che perfino i monaci tibetani abbiano un Pc con la connessione ad Internet, Baricco, dopo aver esaminato alcuni dati, deduce del tutto arbitrariamente che non è così e che quindi la globalizzazione è un fenomeno del tutto marginale: è vero che la Coca Cola è universalmente conosciuta, ma è anche vero che in America se ne consuma una lattina o più pro capite al giorno, mentre in India quattro in un anno; vero, invece, non è che i monaci tibetani abbiano un computer e ancor più assurdo che si possa anche solo lontanamente pensare che sappiano cosa significhi la parola Internet.
Morale della storia: basandosi su due esempi si arriva ad affermare in maniera abbastanza netta che la globalizzazione non è un fenomeno progressivo e inevitabile.
E la tesi è avvalorata da un ulteriore esempio, o meglio da un dato che fa emergere che l’uso del Pc per acquisti on line è molto basso.
Basta forse questo per dimostrare che le cose non stanno come crede la maggior parte del mondo?

Più volte e con una certa dose di ripetizioni si sottolinea che la Globalizzazione non è “un processo lento e inarrestabile”, ma solo un’invenzione dei potenti della terra, una loro strategia per aumentare i guadagni e a cui si oppongono, fortunatamente dice l’autore, i No – Global.*
Baricco ci offre di loro una sorta di ritratto impressionista, con tocchi rapidi e veloci, pennellate che dipingono questi ribelli, contestatori del sistema che mantengono vivo il senso critico della nazione, ma che a volte non sanno precisamente per cosa protestare, ai quali basta una scintilla per accendere un fuoco, forse perché va di moda essere “fuori dal coro” per dimostrare al mondo di essere liberi e di avere un cervello funzionante.
Non serve un motivo, quello che conta è far sapere che non ci si vuole conformare e piegare al duro e spietato gioco della legge del più forte. Ci si nasconde dietro a frasi fatte, a slogan, poi poco importa se non si conosca la reale entità del problema.
Ci si chiude aprioristicamente nelle proprie idee e non si accettano compromessi: la globalizzazione è male e non ci sono soluzioni da accettare.
Eppure le frange più moderate di questo movimento non sono contro la Globalizzazione, ma contro i guasti che essa produce:
non si potrebbe allora cercare di aprire la strada a una Globalizzazione Positiva, che venga dal basso e tenga conto dei bisogni di tutti?

In linea di principio sì, in pratica le cose non sono così immediate: Baricco afferma che, a ben guardare, l’omologazione o le tanto famose marche non sono demoni da abbattere.
Prima ancora del processo di demonizzazione bisognerebbe attuare una “rivoluzione” nella cultura e nelle nostre abitudini, in grado di far capire che molte cose possono essere cambiate partendo da noi. (Federica)
È giusto fare della grande marca il simbolo della globalizzazione sbagliata, quando ne acquistiamo i prodotti tutti i giorni?

DELLA SERIE “FATTI UNA DOMANDA E DATTI UNA RISPOSTA”!

Questa è la nostra recensione.
L’abbiamo strutturata in chiave problematica, cioè ponendo domande e lasciandole in attesa di risposta
Forse era anche questo l’obiettivo di Baricco: stuzzicare la nostra capacità di interpretare la realtà, provocare fino a costringerci a riflettere per dimostrargli che la globalizzazione c’è!
E noi ci abbiamo provato!!!
Ricapitolando: dall’affermazione che la piccola percentuale di popolazione mondiale che usa gli strumenti - simbolo del mondo globalizzato è ininfluente sul totale, Baricco passa poi all’ipotesi che la globalizzazione è un sogno che ci hanno indotto a sognare ed arriva infine ad insinuare che non esiste.
Un po’ estremo!
Le infrastrutture per un mondo globalizzato ci sono, si pensi solo ad internet.
E’ l’accesso ad esse a non essere globalizzato: problema che si inserisce in un contesto più ampio di sperequazione delle risorse, anche di prima necessità come l’acqua.
Io la vedo così: la globalizzazione c’è, ma non è di tutti e non è presente ovunque con le stesse modalità di coinvolgimento e diffusione.
Le scarpe Nike sono in tutto il mondo nel senso che il bambino cinese le cuce ed io me le metto!
Ed allora è pertinente l’obiezione che la globalizzazione è solo un nuovo pretesto ideologico per la colonizzazione dei PVS, che culminerà col trionfo dell’impero americano.
Che finora essa sia stata solo un flusso unidirezionale di prodotti dal Primo al Terzo Mondo e di soldi dal Terzo al Primo, ce lo dimostrano gli esempi che a tutti vengono in mente quando si parla di paese globale: Coca Cola, Nike e McDonald.
Ed è anche vero, come sottolinea Baricco, che per tutto questo c’erano già altri nomi: commercio estero, internazionalizzazione del sistema produttivo, colonialismo culturale, sfruttamento,…
Dunque è solo un problema lessicale?
“Globalizzazione” è un neologismo che ingloba (!) in sé dinamiche già esistenti da decenni?
Finora è stato così.
Ma la verità è che tutti abbiamo in testa un progetto più grande: ci crediamo davvero in un mondo in cui Nord e Sud tornino ad essere solo coordinate geografiche, prive di accezioni economiche.
Forse è vero che ci hanno offerto un miraggio.
Ma la nostra fantasia continua a produrlo, fino a trasformarlo in un’illusione dai contorni sempre meno evanescenti e dalla consistenza sempre più reale.
Secondo Baricco i potenti della terra vogliono che noi crediamo nell’esistenza o anche solo nella possibilità di un paese globale.
Vogliono che ci sentiamo abitanti di un unico paese di dimensioni planetarie, dove non esistono più stranieri né nemici e in cui quindi si possa solo vivere in pace.
Vogliono che la nostra prospettiva psicologica, il nostro orizzonte mentale sia…la pace mondiale! Credendola un humus più fertile per i loro commerci.
Questo fino a quando l’11 settembre gli ha aperto gli occhi: l’unione fa la forza, ma solo se c’è un nemico comune da combattere, anzi meglio, da cui difendersi.

“L’11 settembre ha ottenuto in pochi giorni quello che anni di paziente propaganda non avrebbero sperato di ottenere. Ci sono voluti decenni per farci sentire almeno un po’ europei. In pochi giorni eravamo già tutti americani.”

È più proficuo sfruttare il potere d’aggregazione della paura: non più “nessuno è tuo nemico”, bensì “chiunque può esserlo”.
Ma possiamo essere meno stupidi di come ci dipinge Baricco in questa sua tesi complottista, se acquisiamo consapevolezza e padronanza dei mezzi di cui ci vogliono solo utenti ignari.
Non crediamo alla balla che la guerra è il vettore più efficace per esportare coscienza democratica e diritti umani o che un dollaro per 12 ore di lavoro è sempre meglio di niente.
Possiamo “fare il West senza sterminare gli Indiani” e assecondare la “fiumana del progresso” senza che essa travolga “I Vinti”, perché ora abbiamo gli strumenti per uno sviluppo sostenibile, senza vittime, e non possiamo accettare che in alcune zone del mondo la storia sia ferma a trecento anni fa, nel senso che sfruttamento dei minori, condizioni inumane di lavoro e negazione delle libertà sindacali sono ancora l’unica alternativa alla morte per inedia.
Ha ragione Baricco quando dice che è inutile chiedersi se si è pro o contro la globalizzazione: ci siamo dentro!
Prima ce ne accorgiamo, prima iniziamo a dirottarla in una direzione davvero globale, solidale, a misura d’uomo…di ogni uomo!
Sappiamo bene che contestare senza proporre alternative è sciocco tanto quanto appendere la bandiera della pace al balcone e mangiare pasta Barilla o boicottare la Nestlè con le Nike ai piedi.
Oltre il boicottaggio e l’ostentazione c’è di più!
Iniziamo, per esempio, ad usare internet non solo per scaricare musica, ma anche per saperne di più su consumo critico, banche armate, sfruttamento del lavoro minorile, neocolonialismo, obiettivi del millennio,…
…e potremmo anche scoprire di non essere soli a pensarla così! (Cristina)


* Il movimento nasce nel 1999 per criticare l'economia neoliberista e la globalizzazione che con la sua connotazione fortemente imperialistica impoverisce ancora di più i paesi del Terzo Mondo.
Ha preso il via da alcuni libri di Naomi Klein, giornalista canadese, e della scrittrice indiana Vandana Shiva, che si batte per l'autonomia dei popoli indigeni e per il rispetto dell'ecologia minacciata dall'industrializzazione selvaggia.
Il movimento NO-GLOBAL è in generale pacifista, ambientalista e anti-proibizionista; gli strumenti che usa maggiormente sono: contro – informazione e boicottaggio.
I suoi obiettivi principali: diffondere uno stile di vita che rispetti l'ambiente ed impedire la progressiva perdita di controllo politico da parte dei cittadini sul mondo economico - finanziario. (Silvia)
Cristina Battistoni, Federica Biamonte, Silvia Giglio